Sapevo benissimo cos’era un computer: avevo visto un sacco di film in cui tecnici in camice bianco con occhialoni neri si approssimavano ad un armadione grande quanto il palazzo in cui abito e pigiavano una serie di interruttori, cui faceva seguito una sequenza onirica di accensioni di lampadine, la rotazione costante e interminabile di innumerevoli bobine a nastro grandi almeno dieci volte le bobine a nastro del vecchio registratore di mio padre… e alla fine, da una fessura, usciva una strisciolina di carta stretta e lunga, piena di punti e linee, che il tecnico leggeva come fosse scritta nella sua madrelingua…
Quei bestioni ipertecnologici avevano la risposta a ogni possibile domanda… e quando non avevano la risposta, semplicemente eliminavano chi aveva fatto la domanda: chi non ha presente la lente rossa con cui HAL 9000 “spiava” i suoi compagni umani prima di giungere alla folle decisione di eliminarli fisicamente, in “2001 – Odissea nello spazio”?
Ma, a parte queste esperienze indirette, io non avevo mai visto dal vero un computer prima di iscrivermi al Politecnico…
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