Ospedale militare..

Si, a un certo punto ho cominciato a marcare visita e alla fine mi hanno mandato all’ospedale militare di Verona..
Mantova è una bella cittadina, ma Verona è senza dubbio meglio, e la vita in un ospedale militare era molto diversa da quella di una caserma NATO in stato di allarme, quindi quando il piantone del capitano medico mi chiese se avevo voglia di completare la naja presso di loro, facendo servizi da scritturale (leggi impiegato) e andando in licenza ogni fine-settimana (se non ero di servizio), risposi di sì..
Ed ecco che passai alcuni mesi all’interno di quell’ospedale militare, ufficialmente ricoverato ma in realtà a fare l’impiegato.
Dipendevo dal reparto osservazione (dove ero stato ricoverato) ma lavoravo presso l’ufficio reclutamento (quello dove arrivavano i ragazzi che, alla visita dei 3 giorni, venivano mandati dal distretto militare all’ospedale militare.. i nostri ‘fornitori’ erano i distretti militari di Verona, Vicenza, Trento e Bolzano..)
Al mattino io o il mio collega aprivamo l’ufficio e facevamo accomodare i ragazzi del primo turno, preparavamo le loro schede e le disponevamo in ordine nell’ufficio del tenente medico, che avrebbe determinato in quali reparti avrebbero dovuto fare le varie visite intese a individuare o meno un motivo che permettesse loro di essere riformati o resi abili.
A metà mattina, arrivava un secondo turno, cui preparavamo le schede e si giungeva al pomeriggio, quando arrivava l’ultimo turno (che avremmo preparato loro le schede, ma sarebbero dovuti tornare il mattino dopo per le visite)
Non c’erano problemi con i ragazzi di Verona e Vicenza, e nemmeno con quelli di Trento, ma c’erano anche i ragazzi provenienti dalla provincia di Bolzano..
Costoro sovente non capivano una parola di italiano, parlando solo il dialetto tirolese della valle dove abitavano (in alcuni casi la visita di leva era l’unica occasione di sapere che erano in Italia..) e, altrettanto sovente, erano praticamente analfabeti.. (no: non sto parlando del 1861, ma del 1993..)
Siccome loro non capivano l’italiano, io dovetti adattarmi a capire il tedesco.. e imparai le frasi minime che mi servivano..
La vita scorreva in una specie di mondo parallelo (capirete: io ero ormai abituato alla rigida disciplina di una caserma operativa da prima linea..), si era più alla buona, non c’era bisogno di scattare sull’attenti ogni volta che si incrociava un ufficiale (se non era almeno un colonnello o un generale), ci si dava del tu con i tenenti (ma del lei al capitano) e si familiarizzava con i dipendenti civili dell’ospedale stesso..

Si: non mi pento affatto di aver fatto quella scelta..

4 commenti:

  1. Mi sovviene di un amico che, per motivi vari, fu assegnato alla caserma di Paluzza, considerata "caserma punitiva". Lui diceva che ci si era trovato come un pisello nel suo baccello: la disciplina era rilassatissima (parlava di alzabandiera e appello mattutino in ciabatte), e la "punizione" consisteva nel mettersi lo zaino in spalla e fare lunghe marce. E lui è sempre stato appassionato di montagna... A fine servizio l'hanno mandato qualche settimana in una caserma "normale" a Udine, e lui diceva che l'avevano mandato a stare peggio...
    Certo che, richiamando un tuo commento di qualche tempo fa, dalle tue storei si evince proprio che la naja, almeno fatta così, era proprio un anno buttato via - inutile, quando non dannoso.

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  2. In effetti, ho notato che le espressioni come "caserma punitiva" erano sovente usate a sproposito principalmente per creare panico, anche se le punizioni fioccavano comunque: tutto dipende da come la prendeva il soggetto, c'era chi si terrorizzava solo a sentir ringhiare il caporale (che di conseguenza se ne approfittava per commettere impunemente i più biechi abusi di potere) e chi se ne fregava pure dei colonnelli (e qualche volta è riuscito a ritorcere la punizione stessa contro chi gliel'ha data).

    Per il resto, confermo quello che ho detto: è realmente un anno di vita sprecato... e gli effetti dannosi ci sono stati, anche per me...

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  3. Non concordo con voi sull'inutilità di questo anno.
    Spesso, dal dopoguerra in poi, ha avuto il compito di "uniformare" l'Italia facendo conoscere culture e posti a chi spesso era analfabeta o non era mai uscito dalla valle (o dall'isola, a vostra scelta).
    Inoltre era un eccezionale screening della salute della popolazione Italiana (almeno quella maschile), cosa oggi impossibile da attuare.
    In merito ai personaggi provenienti dal Sud Tirol sono più propenso a credere che l'Italiano lo capivano e parlavano benissimo, ma per motivi noti lo evitavano accuratamente (non è un mistero che da quelle parti non si sentano Italiani più di tanto...).
    In conclusione non l'ho ritenuto un anno buttato via, anche perché a me ha insegnato molto.

    ciao

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  4. Benvenuto :)

    Sui ragazzi del Sud Tirolo, ti assicuro che l'italiano non lo capivano e non lo parlavano (si riesce a capire se l'altro fa solo finta o realmente non capisce), anzi, in alcuni casi ci sono stati problemi persino con il tedesco, e in un caso uno di costoro era venuto accompagnato dal nonno, unica persona con un minimo di istruzione in famiglia, che parlava esclusivamente il dialetto tirolese dell'epoca di Francesco Giuseppe.

    Per il resto, sono felice che tu ti sia trovato bene e confermo che ci sono anche alcuni miei amici che si sono trovati molto bene durante la naja, al punto che qualcuno ci si è pure fermato facendo una certa carriera.
    Nel mio caso, invece (e non solo), posso tranquillamente metterlo nel cassetto dei periodi sprecati (cassetto che purtroppo è anche troppo pieno, e non solo per questo evento)

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