Avevo solo 8 anni!
Era la prima volta che salivo sul treno per un viaggio così lungo: 30 ore previste, ma quasi sicuramente sarebbero state di più!
Non so nemmeno io cosa pensassi, ma sapevo che un angolo del mio cervello era contento: mi è sempre piaciuto viaggiare, anche se non avevo mai fatto nulla di simile.
Anche adesso, sovente, preferisco il viaggio nella sua essenza all'arrivo a destinazione, anche se questo probabilmente fa parte della mia natura strana e folle.
Lo scompartimento era vuoto, stranamente, e ci entrammo, i miei genitori, mia sorella e io.
Sistemati i bagagli sugli appositi sostegni, ci sedemmo e cominciammo a guardare fuori dal finestrino, osservando il treno sul binario accanto che si preparava a partire per la sua destinazione, col proprio carico di umanità a bordo.
Non era ancora proprio piena estate, quindi il treno non era proprio completamente pieno, nel momento che, con uno strattone, si mise in movimento.
Non ricordo volte precedenti in cui vidi l'uscita dalla stazione di Porta Nuova: tutto era nuovo ai miei occhi, anche se riconoscevo alcune delle strade che ogni tanto passavano davanti al finestrino.
Alla fine, il treno uscì dalla città e Torino sparì lentamente all'orizzonte, sostituita prima dai numerosi paesi della cintura, poi da campagne intervallate occasionalmente da gruppetti di case.
Io e mia sorella ci divertivamo a guardare questo mondo nuovo.
I nostri genitori erano impegnati a chiacchierare tra loro.
A un certo punto il treno rallentò e apparve la città di Asti, quindi si fermò in stazione e ci fu un primo scambio di passeggeri prima che ripartisse.
La porta dello scompartimento all'improvviso si aprì e un uomo in uniforme chiese i biglietti, li prese dalle mani di mio padre, li punzonò con una strana pinza e poi li restituì, chiudendo la porta e andandosene.
Il treno raggiunse quindi Alessandria, dove si fermò nuovamente alcuni minuti, poi ripartì e puntò deciso verso le montagne.
Alla fine delle gallerie qualcosa nell'aria mi fece capire che c'era stato un cambiamento: non eravamo più in Piemonte, ma in Liguria, e mentre Genova si approssimava, cominciai anche a vedere in distanza il mare.
Era un'emozione nuova: raramente prima di allora avevo visto il mare, ma sapevo che non era ancora giunta la nostra destinazione: non era l'allora sporco mare ligure la nostra meta, ma il lontanissimo mare della Sicilia, sempre che fossimo riusciti a vedere il mare...
Il viaggio proseguì lento nella sua monotonia, una volta finito di guardar fuori per via della notte, una volte finito di mangiare i panini preparati da nostra madre, una volta finito di leggere i fumetti che ci eravamo portati dietro, una volta andati a svuotare la vescica nel gabinetto all'inizio del vagone, osservando il terreno che correva rapido e monotono sotto il foro di scarico della tazza, l'unica alternativa possibile era dormire, mentre il treno sferragliava lungo la costa tirrenica, superando una dopo l'altra le varie regioni che avevo dovuto studiare in geografia a scuola...
Ci risvegliammo accorgendoci che il treno era fermo da un po', mancava l'ormai familiare dondolio.
Il caos della stazione Termini ci accolse quando osservammo dal finestrino, spaventandoci un po'.
La porta dello scompartimento si aprì e un uomo entrò, posando la sua valigia e sedendosi in uno dei due posti liberi.
Alla fine ripartimmo, andando al contrario rispetto a prima, al punto che chiedemmo se stavamo già tornando indietro, suscitando una certa ilarità, prima delle dovute spiegazioni.
Altra apparizione improvvisa di un addetto al controllo dei biglietti.
Attesa osservando il vuoto fuori dal finestrino, mentre lo sconosciuto leggeva un giornale dal titolo strano, facendo contemporaneamente a gara con mio padre nel fumare sigarette.
Dopo un po', mentre divoravamo un ulteriore panino e osservavamo i cieli sconosciuti e le terre ignote dei luoghi dove nacque gran parte della storia italiana, capimmo che eravamo nuovamente in procinto di fermarci, e ci accolse il caotico frastuono napoletano...
Ancora una volta entrò qualcuno nello scompartimento, sedendosi nell'ultimo posto libero, ma lasciando la porta aperta per parlare con gli amici che erano seduti a terra nel corridoio di fronte...
Poco tempo dopo, i giovani napoletani scesero e una donna prese il posto di colui che era seduto nello scompartimento.
Ancora oltre, girarono voci cupe, mentre le gallerie si susseguivano ininterrotte le une alle altre, e il serpente sferragliante si inoltrava (non più tanto rapido) nel mezzo della Calabria... fino a giungere alla punta estrema dello Stivale.
Nel giro di un'ora, assistemmo alle imponenti manovre per far entrare il treno dentro il traghetto, smembrandolo in piccoli gruppi di vagoni.
Un indecifrabile periodo di tempo dopo, il ronzio e il rollio ci fecero capire che eravamo in movimento e il traghetto stava attraversando lo Stretto...
Mezz'ora dopo attraccammo, mio padre mi disse che era necessario tutto quel tempo per aggirare le forti correnti, infatti a me sembrava strano che ci volesse mezz'ora per attraversare una striscia di mare così piccola!
Un'altra ora e il treno venne nuovamente riformato, e spostato nella stazione di Messina.
Ero in Sicilia! Per la prima volta da che mi ricordavo (anche se mi hanno detto che in realtà era la terza volta, ma le precedenti ero davvero troppo piccolo, e non ricordavo nulla) avevo attraversato l'Italia e varcato lo Stretto.
A questo punto cominciava la parte peggiore del viaggio: lo smembramento continuo dei vagoni separati per destinazioni, la lentezza esasperante del treno nel procedere lungo la costa siciliana, le infinite fermate a quasi ogni centro abitato... avevo quasi voglia di tornare indietro!
Alla fine arrivammo comunque a Siracusa, dove scendemmo dal treno (che concludeva lì la sua corsa) e ci avviammo verso la carrozza che aspettava (mi dissero che si chiamava "littorina", anche se non capivo che razza di nome fosse) e che, dopo alcuni minuti, partì, inerpicandosi nelle montagne interne, mentre il sole tramontava.
A mezzanotte passata, scendemmo finalmente e, dopo una breve scarpinata, giungemmo a una casa a pianterreno con terrazzo, mio padre si fece luce con la torcia elettrica e aprì la porta chiusa a chiave ed entrammo, un attimo prima che le luci dell'illuminazione pubblica venissero spente, spaventandoci un po' per l'improvviso buio, in attesa che, sempre con la torcia elettrica, mio padre accendesse il contatore della luce e quindi le lampadine della stanza.
Anche se non era la prima volta, per quanto mi ricordo io questa è stata la prima volta che ho visto la casa dei miei nonni in Sicilia...
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Ma per viaggi del genere doveva essere un InterCityNotte, coi letti... non mi quadra lo scompartimento.
RispondiEliminaEstate 1974
RispondiEliminaSe non sbaglio si chiamavano "espresso" o "direttissimo" all'epoca, e non c'erano solo vagoni letto.
PS: scusa il ritardo nella pubblicazione del commento :-)